Ao No Mafia

Un racconto che vede come protagonisti i protagonisti di Ao No Exorcist in ambientazione mafiosa.

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    Ho scritto un racconto che vede come protagonisti i protagonisti di Ao No Exorcist in ambientazione mafiosa.

    CITAZIONE
    Le vicende qui raccontate si svolgono in un ipotetico Giappone durante un clima di proibizionismo molto simile a quello reale e ben noto degli Stati Uniti. Mi rendo conto di non averlo saputo rendere al meglio e non sono sicuro di poter addebitare la colpa di questo solo alla brevità del racconto.

    Altre informazioni, perlopiù relative ai ciliegi e al castello di Matsumoto, sono state riportate qui nel modo più fedele a me possibile.

    I personaggi che si muovono in questo universo sono quelli che tu, mio ipotetico lettore, potresti già conoscere dall’anime o dal manga “Blue Exorcist” (anche noto come “Ao No Exorcist”). Confido però nel fatto che conoscere una queste opere non sia necessario per apprezzare quella ben più modesta che hai ora sott’occhio. E che confido potrai commentare per farmi conoscere la tua tua preziosa opinione.

    Ah, partecipa a una specie di gara (contest) con 4 partecipanti, al momento. (Chiude oggi. Forse salgo sul podio...)

    25 Marzo 1953, Maebashi – prefettura di Gunma

    Una pioggia scrosciante mista a grandine stava sferzando i rami dell’imponente ciliegio piantato nel centro del giardino, trascinando foglie e delicati boccioli di un pallido color rosa verso la superficie inquieta della piscina poco lontana. Ad osservare pensieroso quella scena attraverso l’ampia vetrata del suo lussuoso salotto mentre accarezzava distrattamente un gatto nero di nome Kuro accoccolato tra le sue braccia, vi era un uomo di ventisette anni, i cui capelli scuri davano bizzarri riflessi dello stesso colore azzurro dei suoi occhi. Quella primavera, lo splendido panorama offerto dal monte Akagi, sulle cui pendici aveva fatto costruire la villa, non sarebbe stato arricchito come negli anni passati dalla regale bellezza di quell’albero in fiore, né i rari passanti avrebbero potuto volgere a quello spettacolo i loro occhi carichi di ammirazione e, talvolta, anche gravidi di invidia. Ma non erano pensieri di questo genere la causa del suo volto tanto scuro da farlo apparire più vecchio di almeno dieci anni.
    Pochi minuti prima, il telefono aveva squillato. Izumo, com’era suo compito, si era affrettata a rispondere ed era venuta a chiamarlo. Lei, una bella ragazza con gli occhi rossi e lunghi capelli scuri raccolti in una coda dietro la schiena, indossava con ben poca disinvoltura la vestaglia semitrasparente e scollata da lei stessa scelta come uniforme per il suo servizio di guardia all’interno della casa.
    «Devi andare a rispondere, Rin», annunciò, mostrando un sorriso impacciato e poggiando le mani sui fianchi, poco sopra due pistole infilate nella cintura di seta. «Si tratta di una faccenda molto importante.»
    Rin avrebbe voluto far qualche osservazione su quel vestiario decisamente inammissibile per una delle sue guardie, ma si limitò a gettarle un’occhiataccia e diede la precedenza alla persona che lo attendeva dall’altra parte del filo. Afferrò la cornetta in bachelite appoggiata sul tavolino accanto al telefono ed ascoltò per alcuni secondi la voce di un suo fidato informatore, che usciva metallica e gracchiante dall’altoparlante, per poi chiudere la comunicazione con un sintetico ringraziamento e un addio.
    «Cosa sta accadendo?» chiese Izumo, andandogli vicina. Appariva preoccupata dall’ombra che aveva visto scendere sul viso del suo capo durante la breve conversazione.
    Rin prese due lembi della vestaglia poco sotto le spalle di lei, li tirò in avanti ed abbottonò un paio di bottoni, coprendo, così, gli splendidi seni che lei aveva deciso di mettere in mostra. «Anche se ti ho dato il permesso di metterti comoda, ti pregherei di indossare qualcosa di più decoroso. Qualcosa che attiri meno gli sguardi dei miei domestici.»
    «Stupido!» rispose lei con stizza, indietreggiando di un passo. «Solo sei domestiche prestano servizio nella casa, e ci siamo soltanto noi due in questa stanza. Sai benissimo che non ho bisogno di allontanarmi da qui perché le mie volpi bastano per controllare tutti gli ingressi. Eppoi… questo intimo mi è costato una fortuna, e sarebbe assurdo non mostrarlo all’uomo che…» Si voltò per nascondere l’imbarazzo che improvvisamente le aveva imporporato le guance. Poi, tornando a fissare Rin negli occhi, con voce timida ma via via più sicura e arrabbiata, aggiunse: «Comunque, non è certo il modo in cui vesto ad averti incupito. Cosa ti ha detto Igor? Ho riconosciuto la sua voce, perciò non tentare di mentirmi. Se ha chiamato lui, deve trattarsi di qualcosa di grosso legato a tuo padre!»
    Rin la osservò in silenzio per qualche attimo, incerto su cosa rivelarle. Dopo esser entrata nella famiglia Okumura come galoppino, lei si era fatta strada rapidamente fino a diventare la sua guardia personale. Durante gli ultimi sei o sette anni si erano salvati la pelle a vicenda in ben più di un’occasione, e lui l’aveva sempre considerata come una sorella, senza mai prendere in considerazione l’idea che lei, invece, potesse provare qualcosa di diverso. Persino in quell’occasione non ebbe nessun dubbio a riguardo, tanto più che lei sapeva bene di chi lui fosse innamorato, perciò non diede peso alla sua repentina reazione imbarazzata e le rispose: «Preferirei vedere i miei uomini vestiti con scarpe di vernice, borsalino in testa e completo elegante. E vorrei che lo stesso, ad eccezione del tipo di cappello, valesse anche per le donne. Quando mi hai detto di aver scelto una divisa più confortevole per il servizio in villa, immaginavo gonna e maglietta, ma non… questo! Ed in quanto alla telefonata, non è nulla che riguardi te o nessun altro. Si tratta di una faccenda personale.»
    In preda ad una rabbia implacabile, Izumo gli prese la cravatta e lo tirò violentemente a sé. «Ascoltami bene, capo. Ho già intuito quanto basta per non permetterti di fare le cose da solo. Byakko seguirà il tuo odore anche in capo al mondo; perciò, o cambi atteggiamento, o mi farai soltanto arrabbiare di più.»
    «Non ho mai capito quale delle tue volpi si chiami Byakko», replicò Rin con un sorriso forzato.
    «E’ una domanda cretina,» rispose lei, dando un leggero strattone alla striscia di stoffa raffinata che stringeva nella mano, «perché è il nome di entrambe. Io, però, sto ancora aspettando».
    Lui sospirò, serio e rassegnato. «Temo che non sopporterei di vederti più arrabbiata di così... Facciamo un patto: tu lasciami la cravatta, ed io ti racconterò tutto. Poi, se avrai ancora voglia di seguirmi, allora non avrò nulla da obiettare.»
    Lei mollò la presa e gli rivolse un sorriso compiaciuto.


    26 Marzo 1953, Maebashi – prefettura di Gunma

    Il mattino successivo, Rin fece parcheggiare la limousine nera – ne aveva anche una bianca e una grigia parcheggiate in un garage nel centro di Maebashi – davanti alla serra di Shiemi ed entrò da solo nel suo negozio, lasciando le guardie ad aspettarlo in macchina.
    Aprì la porta di ingresso, chiamò la padrona a gran voce e, mentre attendeva l’arrivo della ragazza nello spazio riservato ai clienti, si accese nervosamente una sigaretta, che gettò via e schiacciò sotto la scarpa non appena intravvide i ben noti capelli biondi a caschetto spuntare tra i rami degli arbusti più vicini.
    Shiemi arrivò affannata dietro al balcone colmo di piantine in fiore e, con il volto illuminato da un gran sorriso, esclamò: «Che sorpresa!» Passò dall’apertura laterale e corse verso Rin per abbracciarlo, ma si fermò all’ultimo momento, ricordandosi di indossare la tuta da lavoro e di essere completamente sporca di terra.
    Lui sorrise a sua volta nel sentirla ansare, le fissò intensamente gli occhi verde giada fino a farla arrossire e le disse con aria allegra: «Scommetto che eri dalla parte opposta della serra e che hai fatto tutta la strada di corsa».
    Lei arrossì per l’imbarazzo. «Ho sentito la tua voce… e non ti aspettavo a quest’ora… Santo cielo… sono davvero impresentabile, tutta sudata e sporca… Mi dispiace… Io…»
    Rin si fece serio e con un gesto deciso le appoggiò una mano sulla nuca. «Bambina, non mi dispiace che tu sia bagnata e non rinuncerei a darti un bacio neppure se fossi coperta di concime.»
    Con le guance divenute di un color porpora acceso, Shiemi cercò debolmente di allontanarsi e di balbettare qualcosa in risposta, ma, quando lui piegò la testa ed avvicinò le labbra alla sue, lei ricambiò con passione il bacio e l’abbracciò senza pensare a nient’altro.
    Un delicato colpetto alla testa avvertì la ragazza che era giunto il momento di ricomporsi. Mentre si staccavano l’uno dall’altro, le sovvenne quanto fosse sozza e cercò nuovamente di scusarsi, ma Rin la fece tacere mettendole un dito sulle labbra.
    «E’ solo un po’ di terra, non ti preoccupare», la rassicurò. «Ora ascoltami, ti prego. Questa sera potrei essere di fretta. Probabilmente, tonerò a notte fonda con alcuni dei miei e otto prigionieri e resterò nel rifugio almeno fino a domani mattina.»
    Dopo aver fatto un respiro profondo per accertarsi di esser del tutto calma, Shiemi gli rispose: «Tutto ciò che vuoi. Ti farò trovare i letti già pronti, ed anche la colazione. Devi solo dirmi a che ore pensi di andar via». Poi, con uno sguardo un po’ infastidito, domandò: «Ci sarà anche Izumo a fare la guardia con te?»
    Rin sapeva bene che raccontarle la verità l’avrebbe contrariata ulteriormente ed era certo che mentirle sarebbe stato anche peggio. «Sì, ci sarà anche lei. Ma vedi, ci aspetta una missione molto rischiosa, e tu sai bene cosa possono fare le sue volpi.»
    Un bagliore carico d’ira balenò negli occhi di lei; tuttavia, quando rispose, lo fece con voce assolutamente tranquilla. «Nessun problema». Piegò le labbra in un sorriso per lei insolitamente malizioso ed aggiunse: «Vorrà che dormirò anch’io lì sotto».
    Lui le diede un rapido bacio e replicò: «Non posso chiedere di meglio».
    Poco più tardi, mentre tornava alla limousine, Rin si congratulò con sé stesso per essere riuscito nell’impresa di rivelare alla sua ragazza di essere in procinto di compiere qualcosa di molto pericoloso senza averla fatta preoccupare. Conoscendola, era certo che prima di sera lei avrebbe ripensato al loro dialogo e si sarebbe accorta di quel particolare. “Se ne uscirò vivo,” pensò, “dovrò portarle una pianta molto rara. Altrimenti, quando scoprirà cosa sto per fare, non ho idea di cosa potrebbe farmi…”

    Alle ventuno precise, Rin vide un Volkswagen Transporter da nove posti venir parcheggiato davanti al cancello in ferro battuto della sua villa. Poco dopo, Izumo salì da lui e lo avvisò che Nemu era arrivato.
    «Dove diavolo l’ha tirata fuori? Mi aspettavo un paio d’auto sportive», brontolò.
    Izumo lo guardò disgustata. «Tre di quelli in un’auto da quatto posti?» Più che una domanda, fu un’acida affermazione.
    Rin si portò una mano alla fronte, chiuse gli occhi e scosse la testa. «E va bene», concesse con tono remissivo. Poi si infilò la pistola nella fondina che teneva sotto la spalla sinistra, si cinse i fianchi con un cartucciera e imbracciò un fucile a pompa. Infine, agganciò al cinturone il fodero della sua spada, conosciuta dai suoi amici più fedeli come “Soggiogatrice di demoni”.
    Sul pulmino, oltre a Nemu, Rin vi trovò altri tre dei suoi uomini, tutti pesantemente armati. Izumo, invece, salì sulla berlina equipaggiata con un motore BMW, che, dopo la Mercedes 300 SL da corsa, era la vettura più veloce in possesso al capo mafioso di Gunma.
    Alla guida della potente auto vi era Noriko, che si preoccupò per l’amica quando affiancò il Volkswagen e la vide fissare il finestrino con le mani nervosamente chiuse a pugno.
    «Che cos’hai Izumo?» chiese con tono pacato.
    «Quello stupido doveva sedersi in quest’auto! Maledizione! Beh… lo sai, no? La sua sicurezza è compito mio.»


    26 Marzo 1953, Shibukawa – prefettura di Gunma

    Meno di mezz’ora dopo aver lasciato Maebashi raggiunsero Shibukawa. Si diressero verso la stazione ferroviaria, svicolarono su di una strada laterale dopo un paio di chilometri e, mentre parcheggiavano in una piccola area industriale, udirono distintamente da uno dei magazzini più vicini diversi colpi di arma da fuoco e le raffiche sparate da almeno una mitragliatrice.
    «Quegli idioti!» esclamò Rin arrabbiato. «Dovevano iniziare la loro operazione di merda tra quasi un’ora! Perché diavolo hanno anticipato i tempi? Avanti, muoviamoci prima che la festa sia finita!»
    Izumo fece uscire le sue volpi dal bagagliaio e, ad un cenno di Nemu, corse verso un’auto in sosta a pochi passi di distanza, che scassinò e mise in moto in meno di venti secondi. Dopo essersi domandata per quale motivo quel genere di compiti toccassero sempre a lei, ingranò la marcia e puntò dritta verso la saracinesca, usando l’auto come un ariete ed uscendone in corsa pochi metri prima dell’impatto. Si rialzò mentre gli altri la raggiungevano ed ebbe il tempo di rassettarsi il vestito alla meglio prima di partecipare all’irruzione.
    Nemu corse in testa al gruppo, alzò la mano sinistra in alto e lasciò che a condurre la carica al piano superiore fosse il suo inseparabile pupazzo rosa. Salendo le scale, lui e Rin abbatterono a colpi di fucile cinque uomini armati che vennero loro incontro; e, mentre raggiungevano gli ultimi scalini, Rin fece segno ai suoi di fermarsi e restare in attesa. Subito dopo, si tolse il cappello e s’arrischiò a sporgere la testa per farsi un idea della situazione.
    Davanti a lui si apriva uno spazio aperto adibito a zona di attesa per i clienti, in mezzo al quale si trovavano un divanetto e alcune poltroncine in pelle, più un tavolino di vetro con qualche rivista sopra. A terra, vi erano i corpi martoriati di sei persone, delle quali due indossavano le uniformi della polizia, ma, dietro una parete di metallo e vetro frantumato, vi erano altri due uomini ancora vivi e vegeti che facevano la guardia.
    Per sua fortuna, nessuno di loro scorse la testa di Rin fare capolino, ma lui nulla poté per evitare il colpo che lo raggiunse in pieno petto non appena tornò indietro. Izumo, dopo avergli sferrato un dritto degno di un pugile professionista, rivolgendogli uno sguardo carico d’ira, sibilò: «Razza d’idiota, perché diavolo l’hai fatto tu? E se ti avessero sparato?»
    «Zitta adesso», rispose Rin, piegato per il dolore e parlando a fatica. Poi fece un respiro lento e profondo, ed usò il tono deciso che contraddistingueva i suoi ordini: «Ne sono rimasti undici. Due sono qui davanti, ad otto metri di distanza: uno un metro a destra e l’altro due a sinistra. Non colpite gli sbirri. Fuoco di copertura. Tu, Izumo, libera le volpi. E cerca di essere un po’ più dolce la prossima volta».

    I poliziotti rimasti in vita si erano asserragliati dentro un ufficio, usando tre robuste scrivanie di legno come barriere. Erano circondati, e un fuoco continuo impediva loro qualsiasi possibilità di fuga. Inoltre, era solo questione di tempo prima che le ripetute scariche delle mitragliatrici avessero la meglio sulle loro protezioni improvvisate e già in procinto di andare in pezzi.
    L’intervento di Rin ruppe l’accerchiamento e cambiò drasticamente l’esito dello scontro. I poliziotti uscirono coraggiosamente dal loro rifugio non appena ne videro l’opportunità e costrinsero alla resa tre dei loro assalitori, mentre i loro salvatori facevano tacere per sempre gli altri, disinteressandosi completamente della loro volontà di arrendersi.
    «Ispettore Ryuji», gridò una voce che il poliziotto non fu in grado di riconoscere. «Vi prego di gettare le armi lontano da voi. Ho solo bisogno di parlarvi, ispettore, e non voglio che nessuno si faccia male. Perciò, preferirei che nessuno dei vostri uomini opponga resistenza.»
    «Chi ti credi di essere?» replicò il poliziotto con voce irata. «Vieni qui a ripeterlo, se ne hai il coraggio, ed io ti spaccherò quella faccia da culo che ti ritrovi. È chiaro che non sei delle forze dell’ordine, ed io sto svolgendo un’indagine. Pertanto, ti ringrazio per l’aiuto, ma vattene subito via di qui se non vuoi avere guai!»
    «Sembra che la parte più difficile arrivi adesso», mormorò Izumo, accarezzando le sue volpi.
    «Con tutto il rispetto, ispettore,» replicò Rin, «valutate con cura la situazione. Noi siamo in sette, mentre i vostri uomini ancora capaci di combattere sono soltanto tre o quattro. Fate come vi dico e rivedrete tutti la vostra famiglia».
    «Idiota! Noi, qui, abbiamo una mitragliatrice e molte più pallottole di quante ce ne servano per uccidervi tutti. Quindi fate come vi ho detto e tornatevene a casa, finché siete in tempo!»
    Una breve raffica di mitra diede maggior chiarezza alle sue intenzioni, se mai ve ne fosse stato bisogno.
    Noriko, che aveva una brutta ferita alla spalla, chiese con il volto stravolto dalla sofferenza: «Cosa vuoi fare adesso, capo?»
    «Dobbiamo trovare il modo di convincere quel testone. E dobbiamo farlo in fretta, perché tra non molto potrebbero arrivare altri uomini di mio padre. Izumo, hai qualche idea?»
    «Senza ferirli?» replicò lei. Non andò in escandescenze solo perché si sentiva ancora in colpa per il pugno di poco prima. «Mi dispiace, ma non saprei come fare…»
    «L’interruttore generale è proprio qui dietro!» esclamò il pupazzo di Nemu.
    Rin toccò un braccio di Izumo e le chiese: «Le volpi potrebbero riuscire a portare qui uno di loro?»
    «Se i tuoi amici in uniforme non hanno portato delle torce, sì».
    «Nemu…», disse Rin con l’idea di fargli togliere la corrente, ma il suo uomo era già sparito quando si voltò per dargli l’ordine.
    Pochi istanti dopo, il buio più totale avvolse l’edificio. Rin, allora, lanciò alcuni pezzi di legno verso i poliziotti e, non vedendo nessuna luce accendersi, sussurrò ad Izumo di procedere.
    Dopo una lunga attesa, il mormorio inquieto proveniente dagli agenti bloccati a pochi metri di distanza mutò in una serie di urla, sovrastate per un momento da un colpo di pistola.
    «Idioti! Non sparate!» gridò Ryuji. «E voi, maledette bestiacce, mollatemi! Ah! vi spezzerò tutti i denti, lo giuro!»
    Gli strilli dell’ispettore si fecero sempre più vicini; e, quando lui si trovò a meno di un metro di distanza da Rin, le luci si accesero da sole, mostrando le due volpi che lo trascinavano per le maniche, e prendendo anche di sprovvista un paio di uomini avventuratisi fuori dalla loro tana per soccorrerlo. I due, trovandosi allo scoperto e sotto tiro, si fermarono di colpo e alzarono le mani sorridendo nervosamente.
    Ryuji era un uomo che chiunque avrebbe scambiato per un criminale travestito da poliziotto a causa degli anelli infilati nelle orecchie, della striscia tinta di biondo tra i suoi capelli neri e anche del suo carattere irruente. Uno dei suoi soccorritori era un piccoletto con la testa pelata e gli occhiali, mentre l’altro era di statura normale e aveva i capelli tinti di un rosa improponibile.
    A una parola di Izumo, le due volpi lasciarono le maniche della loro preda, ma gli rimasero vicine e gli mostrarono minacciosamente le loro zanne. L’ispettore accettò con rabbia la sua sconfitta, si mise a sedere incrociando le gambe e rivolse a Rin uno sguardo misto di ira e meraviglia.
    «Tu? Il capo mafia di Gunma? Maledetto bastardo, che diavolo vuoi da me?»
    «Bon… E pensare che un tempo eravamo tutti amici.» Rin si rivolse poi ai due agenti ancora immobili, fermi a quattro metri di distanza, e disse loro: «Konekomaru! Renzo! Che bello vedervi! Avanti, mettete a terra le armi e venite a sedevi qui». Tornò quindi a guardare l’ispettore e aggiunse: «Quanto a te, Bon, devi solo promettermi che non cercherai di giocarci qualche brutto scherzo. Dillo anche ai tuoi uomini rimasti dietro i tavoli, così potremo uscire tutti insieme da qui».
    «Rin! Maledizione! Mi credi forse un imbecille? Qui ci sono documenti importanti per le mie indagini, e tu lo sai. E devi sapere anche che sono venuto qui per poter incriminare te e tuo padre. Quindi cosa aspetti? Evita di prenderci in giro! Avanti, sparaci un colpo in testa e facciamola finita!»
    Come spesso gli capitava di essere fino ad una decina di anni prima con quello stesso zuccone seduto davanti a lui, irritato ed arrabbiato, Rin gli rispose: «Ispettore, sei davvero un idiota, maledizione a te! Sono sempre stato un uomo d’onore! Mai mi sono rimangiato la mia parola! Sono venuto qui solo per salvare la tua pellaccia e ti ho già detto che tu e tutti i tuoi uomini tornerete sani e salvi dalle vostre famiglie. Ora devi fidarti di me. Le tue preziose indagini, come forse avrai capito, sono già arrivate alle orecchie di mio padre. Farò bruciare tutto per rendere irriconoscibili i corpi, e tu dovrai fingerti morto per qualche giorno, fino a quando le acque non si saranno calmate. Ho ancora molte cose da dirti, ma lo farò in un posto più tranquillo. Ah, gli “importanti documenti” che stanno in questo ufficio non valgono niente neppure per pulircisi il culo. Allora, vuoi crearmi altri problemi?»
    Ryuji afferrò incerto la mano che l’altro gli porgeva. «Io… Bruciare tutto…» Pensò ai colleghi caduti e alle famiglie che non li avrebbero più rivisti, nemmeno per l’ultimo saluto nella bara, poi, con rabbia, rispose: «Fa come vuoi, tanto non ho modo di impedirtelo. E ti sia ben chiaro che non posso fidarmi di un uomo come te».

    Quando i cinque poliziotti superstiti furono ammanettati e fatti sedere sul pulmino, Rin diede ordine di uccidere i tre uomini di Tanasa ancora vivi senza far rumore e di bruciare uffici e magazzini.
    «Non potremo imprigionare anche loro?» chiese Noriko, tenendosi la fasciatura improvvisata con una mano e nutrendo la sincera speranza di poter evitare altre morti quella notte.
    «No,» rispose Rin con tono freddo, «sicuramente hanno capito che sono stato io a rovinare i loro piani. Anche se tutto andasse per il meglio nei prossimi giorni, la loro parola metterebbe in pericolo te e tutti gli altri. Ed io non posso permetterlo».
    «Me ne occuperò io», propose Izumo, «ma voglio che tu mi aspetti in auto».
    «Va bene», concesse lui con un sorriso di riconoscenza appena accennato.

    Non appena le fiamme divamparono all’interno degli uffici, Rin, che per abitudine si era seduto dal lato del passeggero, fu raggiunto dalla sua guardia del corpo. La ragazza mise in moto senza dir nulla, ma, al momento di ingranare la marcia e tenendo lo sguardo dritto davanti a sé, disse: «Capo… ti devo chiedere scusa per prima. Non avrei dovuto colpirti. Mi dispiace».
    Assumendo un’aria allegra, lui cercò di rassicurarla: «In effetti, mi da un po’ fastidio che l’unica persona ad avermi quasi ucciso in una notte come questa sia stata la mia guardia del corpo».
    Lei non si sentì affatto meglio. Premette con decisione sull’acceleratore e attese alcuni chilometri prima di riaprir bocca. «Eravamo tutti compagni di classe al liceo, lo so. Ma Ryuji, Konekomaru e Renzo sono nostri nemici, adesso. Per quale motivo hai voluto rischiare la vita per loro, lì, sulle scale?»
    «L’ho fatto per Bon. Era lui il bersaglio di mio padre, e non sapevo ci fossero anche gli altri. E’ vero, ora è l’ispettore Ryuji, mentre noi siamo mafiosi ai quali lui dà la caccia. Ma sai bene che non ho mai accettato i metodi di mio padre e che gli unici sbirri che ho fatto ammazzare erano delinquenti ben peggiori di noi.»
    «Continuo a non capire, ma ho scelto io di accompagnarti in questa pazzia, perciò non voglio insistere ancora. Una cosa, però, voglio dirtela. Se per proteggere quei tre ti farai ammazzare, io mi assicurerò di persona che le loro anime scendano velocemente all’inferno.»
    «Se mi farò ammazzare, temo che non dovrai darti molta pena per loro. Quei tre, prima o poi, finirebbero tra le mani del Diablo; ed allora ci penserà lui a spedirli all’inferno.»
    «Non scherzare, ti prego. Gli uomini che ho portato ti sono tutti fedeli e non ti tradiranno mai, mentre quei cinque… Prima o poi dovrai liberarli. E se loro raccontassero quel che hai fatto al collega sbagliato o se il Diablo riuscisse a mettere le mani su uno di loro… anche se sei suo figlio, pagheresti con la vita il tuo tradimento. Ed io non saprei più che fare se tu morissi.»
    Rin vide una lacrima scenderle lungo la guancia, e il suo animo non poté evitare di intenerirsi. «Izumo, non devi preoccuparti per me. Non ho nessuna intenzione di lasciar fare a mio padre quello che vuole. Io e Yukio abbiamo già da tempo preparato un piano per sbarazzarci di lui. Beh, lo ha ideato tutto quel quattrocchi pieno di nei, a dir la verità… Comunque, i nostri prigionieri saranno al sicuro nel rifugio sotterraneo di Shiemi. Certo, non posso tenerli lì dentro per mesi, perciò dovrò chiedere a mio fratello di anticipare un po’ i tempi.»
    «Vuoi uccidere tuo padre?» chiese incredula. «E di Yukio, il suo figlio prediletto, pensi di poterti fidare? E’ passato tanto tempo dal diploma.»
    «Certo!» esclamò Rin, dimostrando una fiducia incrollabile nel fratello. «Continua a essere un gran rompiscatole, ma è uno che sa quello che fa.»
    «Andare contro tuo padre… Spero che il piano sia davvero buono, perché mi sembra una follia. Quanti uomini pensi ti serviranno?»
    Rin ripensò alla discussione avvenuta solo il giorno prima e con tono serio le rispose: «Izumo, ti ho raccontato tutto questo solo perché ho la massima fiducia in te e so che non mi tradiresti mai, ma non accetterò nessuna protesta. Porterò con me solo dei mercenari e ti farò legare assieme ai poliziotti se tenterai di seguirmi. Se qualcosa andasse male, tu dovrai pensare solo a cambiare aria.»


    26 Marzo 1953, Maebashi – prefettura di Gunma

    Arrivati alla serra, proseguirono lungo la stradina per un centinaio di metri e nascosero l’auto dietro una fila di abeti. Shiemi uscì dalla porta posteriore per venir loro incontro con indosso uno dei kimono che usava ogniqualvolta non doveva lavorare, ma Izumo, che non aveva più parlato dopo aver scoperto che il capo mafia di Gunma era tanto stupido da voler affrontare il Diablo, per giunta senza il suo aiuto, la superò ed entrò senza neppure salutarla.
    Rin arrivò subito dopo, reggendo in mano una ventiquattrore di pelle, e Shiemi, dopo averlo baciato, gli chiese se qualcosa fosse andato storto.
    «No, dei nostri solo Noriko è stata ferita seriamente. Se l’è presa perché non intendo darle il permesso di accompagnarmi in un altro affare importante.»
    «Ma lei è una delle tue guardie del corpo…»
    «Ed è anche una mia cara amica, ma questa volta non voglio assolutamente che le persone alle quali tengo di più rischino di farsi male. E penso anche che sia giunto il momento di lasciare la mia organizzazione in mano a qualcun altro.» Le rivolse uno sguardo malizioso. «Dato che ancora non mi hai dato figli ai quali io possa lasciare il mio posto, penso che potrei scegliere proprio Izumo.»
    «Non puoi essere serio…», replicò lei, incredula ed imbarazzata.
    «Non potrei esserlo di più. Oddio, mi fido anche di Nemu, ma non posso dare il comando a qualcuno che parla solo attraverso il suo pupazzo… eppoi non sono ancora del tutto sicuro di cosa gli passi per la testa.»
    «Rin! Non sto parlando di questo! Beh, preferirei che mantenessi tu il comando… ma non era questo che mi premeva dirti! Izumo ci tiene a te… anche troppo, secondo me… No, no! Questo, ora, non è importante. Oh sì che lo è! E lo è davvero! Ma non ora…»
    Lui le prese la testa fra le mani, la fissò negli occhi rivolgendole un sorriso affettuoso e un po’ divertito e le disse dolcemente: «Piccola, va tutto bene. Ora calmati e tira fuori quel che vorresti dirmi.»
    Shiemi fece un paio di respiri, poi, con sguardo deciso e tutto d’un fiato, gli rispose: «Izumo mi piaceva di più prima che diventasse la tua guardia del corpo, ma mi sento più sicura sapendo che lei è al tuo fianco. Non so cos’hai in mente, ma deve essere qualcosa di pericoloso, altrimenti lei non se la sarebbe presa tanto, perciò, ti prego, cerca di sistemare tutto prima di partire. E scordati di lasciare in disparte i tuoi amici, perché sono le persone delle quali ti puoi fidare di più!» Fece un altro respiro profondo continuando sempre a fissare Rin in faccia, divenuta una maschera di meraviglia. «E per finire…» Si concesse un’altra breve pausa e, con occhi rilucenti di un’ira vista da lui solo tanto tempo prima, concluse urlando: «Raccontami di che affari ti stati occupando!»

    Il Volkswagen, scortato dalle tre auto che erano state usate dai poliziotti, arrivò circa un quarto d’ora dopo. I cinque prigionieri, tutti ammanettati con le mani dietro la schiena e bendati sino all’arrivo nel sotterraneo, furono condotti in uno stanzone che in ultra circostanza sarebbe apparso loro come una accogliente sala da pranzo per via della tovaglia a fiori sul gran tavolo di legno e delle pareti intonacate e abbellite con vari quadri di paesaggi e fiori. Ma, oltre alla diffidenza verso le intenzioni dei loro sequestratori, l’atmosfera era appesantita anche dal teso silenzio delle due persone che li stavano attendendo all’interno.
    Come aveva fatto per tutto il viaggio, l’ispettore Ryuji continuò a lamentarsi senza sosta fino all’arrivo nella sala, dove venne liberato anche dalle manette. Prese posto su di una sedia davanti a Rin, gli mostrò un sorriso sarcastico e gli disse: «I miei rispetti, signor capo mafia di Gunma. Sono lieto di essere suo ospite in questo lussuoso appartamento e confido di poter sentire da voi quale stupenda sorte mi vorrete riservare».
    «Non fare l’idiota, Bon», rispose Rin, ricambiandolo con uno sguardo malinconico. «Ora ci occuperemo dei feriti. Nel frattempo, noi due potremo parlare.»
    Nemu, Noriko e i tre uomini che avevano fatto il viaggio di andata nel pulmino, condussero Renzo, Konekomaru e gli altri due poliziotti in un’altra stanza. Quando la porta si richiuse alle loro spalle, Rin tolse le manette a Ryuji e gli mise una valigetta tra le mani. Poi disse a bassa voce: «Lì dentro ci sono foto e documenti che testimoniano il coinvolgimento di mio padre in estorsioni, furti, rapimenti ed omicidi. Ce n’è abbastanza per condannarlo ad una decina di ergastoli, ed è tutta roba tua, se la vuoi, ma anche questa è solo carta straccia».
    Un po’ sorpreso e un po’ diffidente, l’ispettore si rigirò la valigetta tra le mani senza osare aprirla. «Perché me l’hai consegnata? E cosa vorresti dire?»
    «Non appena quella valigia entrerà in una stazione di polizia o in un tribunale, lui lo saprà e farà perdere le sue tracce. E se anche venisse arrestato, i suoi uomini lo farebbero evadere prima del suo arrivo in carcere. L’unica possibilità per liberarci di lui è ucciderlo, ed è quello che io intendo fare.»
    «Rin, mi stai prendendo in giro? Tu vuoi davvero ammazzare il tuo vecchio?»
    «Sì, questo è il mio piano. Se non mi credi, posso giurartelo sulla memoria del mio vero padre.»
    «E poi? Cosa accadrà dopo? Prenderai il suo posto? E pensi che Shiro ne sarebbe felice? Non giurare sulla memoria dei morti, se intendi far qualcosa che li farebbero rigirare nella tomba.»
    «Su Shiro, hai ragione, lo so. Ma che tu mi creda o no, lui è ancora l’uomo che rispetto di più. Dopo che sarà morto, sarà Yukio a prenderne il posto, mentre io mi limiterò ad aiutarlo.»
    «Quindi, alla fine, non cambierà proprio nulla. Il controllo della mafia asiatica passerà dalle mani di Tanasa Okumura a quelle di Yukio Okumura. Cos’è? Il boss non vi lascia una fetta abbastanza grande degli affari?»
    Dopo un lungo sospiro, Rin gli rispose amareggiato: «Dimmi un po’, Bon. Negli ultimi cinque anni, di quanto sono aumentati nella prefettura di Gunma rapine ed omicidi?»
    «Sono diminuiti. Quasi dimezzati, mi sembra di ricordare.»
    «Sono calati, rispettivamente del quaranta e del sessanta per cento», disse Izumo, guardandolo con disprezzo. «E voi poliziotti pensate sia tutto merito delle vostre indagini e dei vostri arresti.»
    Ryuji non osò rispondere a quella dolorosa provocazione. Sapeva fin troppo bene che le forze dell’ordine dell’intero Giappone erano impotenti di fronte alle organizzazioni malavitose che perversavano in ogni angolo del suo territorio ed infrangevano impunemente le leggi proibizioniste in vigore da più di un decennio.
    Dopo aver rivolto alla sua guardia del corpo uno sguardo duro, al quale lei rispose abbassando gli occhi e con il volto corrucciato come quello di una bambina che si senta ingiustamente rimproverata, Rin domandò: «Sapete anche come sono cambiate quelle statistiche nella prefettura di Tokyo nello stesso periodo?»
    «Non so le percentuali esatte,» rispose Ryuji con tono serio e scuro in volto, «ma credo che tuo fratello ti abbia battuto anche in questo».
    «È sempre stato più bravo di me, ma entro la fine di quest’anno contavo di mettermi in pari con lui. Ispettore, cominci a capire, adesso?»
    «Penso di capire cosa vorresti dire; tuttavia…» protestò Ryuji con poca convinzione, «questo non significa che l’impatto sulla società civile sia meno dannoso che nelle altre prefetture».
    «Domani vorrei farti fare un giro in città. Forse riuscirei a farti capire meglio come Maebashi è cambiata in questi ultimi anni proprio sotto il tuo naso, ma vorrei avere già adesso la tua parola che tu e i tuoi uomini non farete nulla per ostacolarmi mentre resterete in questo rifugio. Penso tu abbia già capito che ci sono persone controllate da Tanasa anche tra i tuoi più stretti collaboratori. Se tu o uno dei tuoi agenti usciste di qui prima che io abbia portato a termine il mio piano, voi verreste presi e torturati per sapere chi vi ha aiutati, ed io non voglio che nessuno dei miei uomini debba pagare con la vita per il mio desiderio di salvarti la pelle.»
    «Ti conviene rimettermi le manette, e non perdere mai di vista me e i miei», rispose Ryuji caparbio. «Con il tuo permesso, adesso, anch’io vorrei farmi medicare un paio di ferite. Ti risponderò domani, dopo aver fatto il giretto in città, anche se mi domando cosa diavolo ti illudi di poter ottenere.»

    La stanza non era particolarmente grande, ma, oltre a due lettini, riposto in modo ordinato, vi era tutto il necessario per effettuare qualunque operazione chirurgica tipica delle cure clandestine del mondo mafioso. Ryuji vi entrò nuovamente bendato ed ammanettato e grugnì di dolore quando la maglia sporca di sangue, dopo esser stata tagliata con una forbice, gli venne levata. Aveva una ferita sul braccio sinistro poco sotto la spalla, che gli era già stata fasciata alla meglio con strisce di stoffa, ed anche diverse schegge di vetro conficcate nella schiena.
    Shiemi gli fece toccare il bordo di uno dei due lettini; e, senza bisogno di altre indicazioni, lui capì di dovercisi sedere. Dopo avergli sistemato il braccio con disinfettante, garze nuove e qualche punto di sutura, la ragazza si rivolse all’uomo di guardia che aveva accompagnato il prigioniero e gli disse: «Aiutami a distenderlo sulla pancia, per favore». Appena ne vide lo sguardo contrariato, lei si portò una mano davanti alla bocca e sperò di non essersi fatta riconoscere da Ryuji, ma, dal modo in cui lui si voltò e dalla sua espressione, temette di essersi tradita.
    «Shiemi?» domandò Ryuji con voce sicura, ma anche incredulo di ritrovare come infermiera, in una simile situazione, un’altra sua vecchia conoscenza. «Cosa ci fai qui? Quel bastardo di Rin ti sta minacciando?»
    «Assolutamente no! Rin non farebbe mai una cosa simile!» esclamò lei, rendendosi subito conto di aver appena gettato via ogni possibilità di rimediare all’errore precedente. Infastidita dalle insinuazioni di Ryuji ed arrabbiata con sé stessa, gli tolse di scatto la benda dagli occhi e disse: «E va bene, mi hai riconosciuta. Ma Rin è una brava persona, la migliore che io conosca, ed io sono qui di mia volontà perché farei tutto per lui. Questo voglio che ti sia chiaro, Bon».
    Lui la fissò agitato e ancor più sorpreso che in precedenza. «In che rapporti… sei con lui?»
    «Siamo fidanzati», rispose lei con voce tremolante, e diventando, per un breve attimo, rossa in volto.
    «Cosa? Come… Come hai potuto innamorarti di lui? Sapevi che era un delinquente…»
    Allo sguardo sdegnoso di Ryuji, lei contrappose una espressione fiera e risoluta. «Ne ero già innamorata al tempo del liceo. Quando suo padre è tornato dalla Cina per prendere personalmente controllo del suo gruppo mafioso qui in Giappone, lui mi ha raccontato tutto, ed insieme abbiamo deciso che avrebbe accettato di diventare il capo mafia di Gunma.»
    «Non ci credo… una ragazza dolce come te come ha potuto farsi trascinare in un letamaio simile…»
    «Piantala! O i pezzi di vetro che hai sulla schiena resteranno dove sono! Ora fa silenzio e stenditi, per favore!»
    Quella di Shiemi fu una vera e propria sfuriata. Qualcosa di cui Ryuji non l’avrebbe mai creduta capace. Confuso, lui si distese senza fiatare. E nessuno in quella stanza disse più nulla fino al termine della medicazione, quando lei rimise le pinzette sul tavolino ed aiutò il prigioniero a rimettersi seduto.
    «Shiemi,» disse Ryuji con voce calma e rassegnata, «per favore, dimmi da quanto tempo lavori per lui e perché hai iniziato a farlo. Davvero non riesco a capire».
    «Non c’è molto da dire… Al ritorno di Tanasa, questa città era contesa con la famiglia Tsubaki. Una notte alcuni di loro sono entrati nella serra ed hanno distrutto piante ed attrezzature. Nel frattempo, altri due sono saliti in casa con una tanica di benzina. Mi dissero che dovevo iniziare a coltivare canapa, bacche ed erbe per produrre liquori e, in più, che dovevo pagare per la loro protezione. Spiegai che non avrei potuto mandare avanti la serra alle loro condizioni, e loro mi risposero ridendo che dovevo scegliere: o accettavo subito, oppure avrebbero bruciato anche me.»
    «Quindi Rin ti salvò spazzando via la famiglia Tsubaki e mettendo fine all’accordo con loro.»
    «No. Non accettai mai quell’accordo perché Rin era lì con me e stava ascoltando di nascosto. Quando furono chiare le loro intenzioni, li colpì entrambi alla mano destra, poi fece capire che era meglio stare alla larga da casa mia. In più, per sicurezza, lui e alcuni suoi uomini si alternarono nel far la guardia alla mia serra nei giorni seguenti.»
    «E tu, per riconoscenza, sei diventata la sua infermiera…»
    «Io volevo solo stargli vicina il più possibile… Siccome mi capitava spesso di vederlo con nuove ferite e siccome avevo già una buona conoscenza di erbe mediche, imparai anche a medicarlo. Divenni piuttosto brava con ustioni e ferite da coltelli ed armi da fuoco, così mi offrii anche di curare gli uomini di guardia e poi chiunque ne avesse bisogno e non potesse recarsi in ospedale.»
    «Immagino che lui abbia offerto le migliori condizioni alla sua fidanzata per gestire la serra, ma non credo che con gli altri negozianti si comporti in modo tanto diverso da come faceva la famiglia Tsubaki. E riguardo alla canapa? Il tuo negozio è famoso anche tra i poliziotti per le tisane rilassanti. Pensavo avessi qualche pianta, ma non che coltivassi per conto della mafia.»
    «Ti sbagli. Lui non obbliga nessuno a far nulla. E le piante di canapa che ho nella serra sono usate esclusivamente da me per la preparazione di calmanti. So che è vietato… ma non vendo droghe e quel che preparo funziona meglio dei prodotti in farmacia, oltre ad essere più economico.»
    L’ispettore le rivolse un ultimo sguardo perplesso; poi la guardia lo ammanettò nuovamente e se lo portò via.


    27 Marzo 1953, Maebashi – prefettura di Gunma

    Quel mattino, Rin passeggiava tranquillamente per le vie del centro città assieme ad un uomo dai capelli castani pettinati all’indietro, e barba e baffi ben curati. A dieci passi di distanza, li seguiva Izumo in compagnia di un altro uomo. E tutti e quattro erano abbigliati con completi scuri di gran classe.
    «Erano necessari anche barba e baffi?» chiese Ryuji irritato e agitato.
    «Non possiamo rischiare, lo sai. Allora, hai deciso dove andare? C’è un mio bordello proprio qui dietro. Potrebbe esserti d’aiuto per calmarti. Oppure preferisci una birra fresca?»
    «Cominciamo con la birra, allora.»
    Nel corso di quattro ore entrarono in almeno due dozzine di negozi, ed in ogni occasione si ripeté sempre la stessa scena: il proprietario veniva incontro a Rin, lo salutava con un largo sorriso e un affetto genuino e stringeva con calore anche la mano offerta da Ryuji, mentre quest’ultimo, di volta in volta, diffidava sempre meno dell’autenticità dell’espressione sui volti dei negozianti.
    Fingendo di essere un nuovo affiliato della famiglia Okumura interessato a capire il modo di lavorare del gruppo mafioso, l’ispettore scoprì una faccia della città ben diversa da quella che si era sempre immaginato, ed ottenne informazioni che nessuna indagine avrebbe mai potuto fornirgli. Tutti gli introiti di Rin derivavano da sale da gioco, scommesse, contrabbando di alcool, bordelli, fumerie d’oppio, vendita di droga ed altre attività commerciali gestite direttamente da alcuni uomini di fiducia. Un agente di polizia non poteva certo accettare nessuna di queste attività illegali, ma il modo in cui tutto era gestito mitigò di molto il disprezzo di Ryuji verso il vecchio compagno di scuola.
    Constatò di persona che l’igiene delle prostitute era di livello indiscutibile e seppe direttamente dalla ragazza con la quale si appartò che anche i controlli medici venivano fatti in modo serio e regolare. Ebbe modo di parlare anche con diverse altre, tutte maggiorenni, e nessuna di loro si dimostrò minimamente scontenta del proprio trattamento di lavoro; anzi, molte parlarono con entusiasmo delle misure adottate dalla casa per fermare in tempo i clienti troppo violenti. Riconobbe anche molti colleghi venuti lì a concedersi un po’ di relax, alcuni persino in uniforme, ma, fortunatamente, il suo travestimento risultò efficace.
    I venditori di droga conoscevano esattamente i loro clienti ed avrebbero passato dei guai seri se avessero venduto la loro merce a minorenni o se l’avessero tagliata per trarne un maggior profitto personale. Le fumerie si assicuravano che i frequentatori non restassero troppo a lungo all’interno e non tornassero troppo presto. Sull’alcool non ebbe bisogno di rassicurazioni, perché già conosceva personalmente la qualità dei distillati illegali.
    A lasciarlo maggiormente sorpreso, però, fu lo scoprire che nessuno dei negozianti pagava il pizzo perché obbligato a farlo. In ogni quartiere vi era un rappresentate scelto da loro, e questi raccoglieva le quote della sua zona in modo anonimo. Poiché ciascuno versava quanto l’esperienza passata, fatta di vetrine e prodotti distrutti, gli suggeriva ragionevole per ripagare l’attuale e durevole periodo di pace, quel che veniva messo insieme era solitamente ben più di quanto veniva inizialmente previsto di raccogliere.
    Mentre veniva riportato in auto alla serra di Shiemi, l’ispettore Ryuji aveva finalmente compreso per quale motivo nessuna garanzia di tutela era mai riuscita a far testimoniare qualcuno contro l’attuale capo mafia e la sua banda. Rimase in silenzio per la prima parte del viaggio, poi disse: «Senti idiota, non hai paura che, finita questa tregua, io possa tornare a far visita nei bei posticini che mi hai fatto vedere oggi?»
    «Questo non mi disturba affatto, Bon. Come avrai capito, non troverai nessuno disposto a deporre, ed io, poiché tengo alla tua salute e alla tua solerzia sul lavoro, sposterò fumerie e bordelli prima che tu esca dall’isolamento.»
    «Uhm… peccato… Ehm! Speravo solo di poterti ricattare in cambio di qualche favore!»
    «Oh! Dunque non ti interessa più incriminarmi?»
    «Imbecille che non sei altro, non puoi fare domande simili a un rappresentate della legge! Diciamo… che… non ne vedo più la necessità, ma questo non significa che puoi fare come ti pare! Ficcatelo bene in testa! Voglio farmi un’idea sulla misura del tuo giro d’affari e ti farò a pezzi se dovessi notare un atteggiamento troppo avido da parte tua, te lo prometto!»
    «Sei diventato molto più ragionevole rispetto a ieri. Bene, abbiamo buoni margini di trattativa.»


    29 Marzo 1953, Maebashi – prefettura di Gunma

    Era ormai notte tarda. In una stanza del rifugio sotterraneo ammobiliata come un tradizionale salotto giapponese, Rin e Ryuji se ne stavano seduti sopra due comodi cuscini color pesca, l’uno davanti all’altro, chiacchierando e bevendo il liquore di una bottiglia senza etichetta.
    «Voglio essere onesto,» disse l’ispettore, squadrando il suo compagno di bevuta con occhio torvo, «ci ho pensato a lungo in questi giorni e continuo a pensare che sarei stato più felice di incontrarti se tu avessi scelto una strada onesta».
    «Bon, tu non hai idea di quante notti insonni io abbia passato prima di accettare la proposta di mio padre. Sapevo che se non fossi stato io a capo della famiglia Okumura qui a Gunma, qualcun altro, ben più crudele di me, lo avrebbe fatto al posto mio. Io potevo mettere un freno allo spargimento di sangue nelle strade, ma sapevo che avrei dovuto comunque sporcarmi le mani, e non era questa la vita che volevo. Ne parlai subito con Yukio, e lui mi propose delle idee semplici e concrete per gestire le nostre attività facendole pesare il meno possibile sulla gente. Iniziai a trovare allettante ricoprire quel ruolo, ma continuavo ancora a considerarlo un fardello troppo pesante e pericoloso da portare. Così ne parlai a lungo anche con Shiemi.» Svuotò il bicchiere, che subito Ryuji riempì di nuovo, e sorrise al ricordo della difficile discussione che ebbe con la sua ragazza in quell’occasione. «Non l’avevo mai vista così infuriata. Per un giorno intero non volle parlarmi, ed io mi misi a pensare in quale parte del mondo sarei potuto scappare assieme a lei. Poi mi chiamò e mi disse che mi avrebbe appoggiato… Capiva anche meglio di me cosa avrebbe significato per la gente di Maebashi avere la persona sbagliata a capo del gruppo mafioso destinato a dominare la città… e quel che lei fece nei mesi seguenti… Beh, non credo riuscirò mai ad amarla abbastanza per ripagarla.»
    Ryuji bevve il suo bicchiere tutto d’un fiato e invitò Rin a fare altrettanto. Poi disse: «Sai… quando ho sentito le prime voci in città… io non volevo crederci. Ci siamo scornati per bene quando andavamo a scuola, almeno nei primi tempi. Eri uno stupido, e cucinare era l’unica cosa a riuscirti bene. Però… eri un bravo ragazzo, ed io ammiravo il tuo modo di aiutare chiunque fosse in difficoltà. Sono sicuro che la nostra classe non sarebbe stata tanto unita se non ci fossi stato tu. Perciò, quando le voci sulla tua attività iniziarono a trovar conferme, puoi capire quanto fossi deluso. Maledizione… mi torna la rabbia solo a ripensarci. È stato proprio Tanasa a far uccidere Shiro Fujimoto, questo lo hai sempre saputo, no?»
    Un sorriso amaro apparve sulle labbra di Rin. «Sì, lo sapevo. Se anche il padreterno mi lasciasse un posticino in paradiso, lo farebbe solo con lo scopo di punirmi. Shiro sarebbe lì ad aspettarmi e mi picchierebbe fino a farmi sprofondare all’inferno; ne sono certo. Lui è stato l’unico vero padre che io abbia mai avuto, ha accolto me e mio fratello nella sua chiesa sapendo bene chi eravamo, ma ci ha sempre amati.
    «Quando facevo le elementari, un giorno, presi a pugni un mio compagno… Shiro venne a separarci, ed io picchiai pure lui. Mi tenne stretto tra le sue braccia finché non mi calmai, poi mi disse di usare la forza per aiutare gli altri. Per compiere atti di bontà. Voleva che io diventassi un ragazzo grandioso, circondato da un sacco di amici e amato dalle donne». Appoggiò il bicchiere sul tavolo e scosse la testa con il volto segnato dalla tristezza. «Io, però, ho raccolto nelle mie mani un potere che non ha nulla di grandioso ed ho perso molti amici. Gente come te, Renzo e Konekomaru. Da quando vivo nella malavita non posso più avvicinarmi a persone oneste come voi. Mi domando spesso cosa mi direbbe lui, se fosse ancora qui.»
    Ryuji fissò a lungo il suo bicchiere vuoto contro la luce del lampadario, sospirò e infine gli rispose con tono pacato: «Rin, ho sentito spesso parlare di Shiro e so che era un prete, un uomo, davvero eccezionale. Neppure lui, però, se si fosse trovato al posto tuo, avrebbe potuto prendere una decisione con la certezza di aver fatto la scelta giusta. Limitarsi a scappare da Tanasa sarebbe stato come lavarsi le mani di tutta la faccenda. Non avrei mai immaginato di dirti una cosa simile… ma devi essere meno duro con te stesso. Lo penso sinceramente. Dovresti immaginare come sarebbe questa città se Tanasa dirigesse personalmente le attività criminali». Fece una breve pausa ed aggiunse: «Sai, se cerchi qualcuno che possa giudicare sinceramente quel che fai, senza farsi intimidire da te, allora io e Konekomaru siamo le persone che ti servono. Perciò, quando questa storia sarà finita, saremo lieti di tornar qui e di dirti quel che pensiamo di te e di quel che fai, a patto di avere una buona bottiglia che ci faccia compagnia mentre parliamo».
    «Ti ringrazio, ispettore», rispose Rin, sorridendo divertito a quella proposta che non avrebbe mai creduto di poter sentire, non dall’uomo che gli sedeva davanti. «Non mancherò di invitarvi, lo prometto.»
    Ryuji ricambiò il sorriso, poi tornò serio. «E adesso, testone, raccontami un po’ cosa stai combinando. Shiemi e Izumo sono arrabbiate con te, e non mi è stato difficile scoprirne il motivo.»
    «È stata Shiemi a fare la spia, vero?»
    «Io proteggo sempre i miei informatori. Non ho idea di come vuoi deporre tuo padre, ma lascia che ti dica una cosa: sei sempre un fottuto idiota. Di me e dei miei quatto agenti ti puoi fidare per una impresa simile, e tenerci chiusi qui dentro invece di farci partecipare ci farà solo infuriare. Non ho obiezioni a lasciarti il colpo di grazia, ma voglio fare tutto il possibile per aiutarti. E questo è anche il pensiero degli uomini a te fedeli.»
    Dopo aver svuotato un nuovo bicchiere, Rin gli rispose: «Lo so… ma non voglio perdere nessuno di loro. Nemmeno te. Forse Shiemi ed Izumo lo capiranno, un giorno».
    Dopo aver picchiato i pugni sul tavolo, Ryuji urlò: «Non lo capiranno di certo se tu morirai, zuccone!» Poi, abbassando la voce e parlando con tono comprensivo, aggiunse: «Hai già un fardello pesante sulle spalle, che diventerà anche più pesante se qualcuno dei tuoi amici morirà. Lo capisco bene, ma la scelta che stai facendo è la più egoistica che tu possa fare, perché non stai pensando minimamente alla disperazione di chi lasci indietro. In ogni caso sarà un’onta che li accompagnerà per tutta la vita. E se tu non dovessi tornare, li condanneresti anche a vivere per sempre con il rimorso di non esser stati con te. Senza contare che Izumo verrà in ogni caso, col rischio di agire come un cane sciolto e di trovare una morte sicura».
    Rin attese che anche l’ultima goccia di liquore rimasta nella bottiglia cadesse nel bicchiere prima di rispondere: «Se ti ci metti pure tu… E va bene. Ci penserò sopra, ma una cosa dovrà esser chiara: se le cose si mettessero male, dovrete tutti cercare di mettervi in salvo; altrimenti vi cercherò in ogni angolo dell’inferno per uccidervi con le mie mani».
    «Mi sta bene. Ora che hai finito la bottiglia possiamo anche andare a dormire. Però, vorrei chiederti un’ultima cosa. Izumo… Che fine hanno fatto le sue orribili sopracciglia a batuffolo?»
    Dopo una breve e sincera risata, Rin gli rispose: «Le ha lasciate nella clinica del chirurgo estetico più abile del Giappone. Organizzai il loro incontro senza che lei ne sapesse niente. Lei minacciò di uccidermi, ma andò a farsi operare il giorno seguente. Ti avviso, però: non far mai una domanda simile a lei. Sempre che tu non voglia morire».


    1 Aprile 1953, Maebashi – prefettura di Gunma

    Nel tardo pomeriggio, seduti attorno al tavolo della sala da pranzo sotterranea, cinque poliziotti e sei uomini di Rin stavano ascoltando con la massima attenzione il piano che sarebbe andato in scena due giorni dopo, in occasione dell’incontro tra Tanasa e Watanabe per accordarsi sul commercio di una nuova droga sintetica da lui prodotta.
    «Tanasa avrà con sé dieci uomini di scorta, mentre Yukio ed io ne avremo quattro ciascuno. Ci saranno anche trenta uomini di Watanabe, metà dei quali dentro il castello Matsumoto, comprato da lui alcuni anni fa, mentre gli altri presidieranno i tre ingressi del parco.
    «Mio fratello ha già stretto accordi con la società che fornirà il personale di servizio. Venti dei nostri uomini si travestiranno da garzoni addetti alle consegne e da camerieri e staranno dentro il castello, dove dovremmo essere in parità numerica con gli uomini di Tanasa e Watanabe. Altri venti arriveranno alla porta Nord attirando l’attenzione delle guardie e fornendo un diversivo che ci permetterà di uccidere rapidamente quelle all’interno. Se saremo abbastanza veloci da sfruttare al meglio l’effetto sorpresa, chiuderemo la partita in pochi minuti.»
    Konekomaru alzò una mano e chiese: «Per quale motivo l’attacco a Tanasa si svolgerà nella residenza di un suo alleato? Non sarebbe più facile colpirlo quando si trova nella villa di tuo fratello o almeno in un territorio neutro?»
    «Mio padre non si muove mai senza una scorta di almeno trenta uomini e si assicura di avere sempre almeno due vie di fuga. È solo per questa sua prudenza quasi maniacale che nessuno è mai riuscito a fargli la pelle, sebbene sia sulla lista nera di decine di organizzazioni mafiose che più volte hanno tentato di farlo fuori. A Matsumoto, invece, si sentirà al sicuro e, siccome siamo invitati anch’io e Yukio, conterà anche noi come parte della sua scorta per il viaggio.»
    «Chi porterai con te? Spero non vorrai farmi vestire da cameriere…» chiese Ryuji sospettoso.
    «Con me ci saranno Izumo, Nemu, un altro mio uomo fidato e Shiemi», rispose Rin, facendosi scuro in volto mentre concludeva la frase e rivolgeva alla sua fidanzata uno sguardo corrucciato. Tornò a fissare l’ispettore e continuò: «Tu e gli altri poliziotti vi mescolerete al personale di servizio. Forse per te, Bon, il ruolo di autista sarà più appropriato».
    Konekomaru si aggiustò gli occhiali e domandò perplesso: «Non è troppo pericoloso coinvolgere Shiemi?»
    «Lo è di certo,» concordò Rin, «ma lei vuole venire con me, e Yukio è del parere che la sua presenza impedirà a nostro padre di farsi qualunque idea di tradimento da parte nostra. Le politiche che abbiamo adottato sono sempre state mal viste da lui, nonostante i nostri introiti di tutto rispetto».
    «E senti un po’,» disse Ryuji, che non appariva affatto soddisfatto, «io sono stato al castello di Matsumoto. Bisogna passare per uno dei tre ponti sul fossato per poter entrare o uscire; e, siccome si trova in centro città, la polizia potrebbe bloccarci le vie di fuga prima che la sparatoria sia finita. Il piano di Yukio prevede anche di cavarci fuori da questa trappola?»
    «C’è anche un tunnel segreto fatto costruire da Watanabe. Se non fuggiremo in tempo, convinceremo qualcuno a dirci come accedervi. Comunque non dovete preoccuparvi: Yukio non è un principiante e sicuramente ha pensato a tutto.»


    3 Aprile 1953, Matsumoto – prefettura di Nagano

    Rin, Shiemi e la sua scorta partirono alle prime ore del mattino da Maebashi a bordo di due auto di grossa cilindrata e, dopo un viaggio di poco meno di tre ore, giunsero nei pressi del castello Matsumoto con trenta minuti di anticipo rispetto all’orario dell’incontro. Si fermarono in un parcheggio ed attesero lì l’arrivo delle auto di Yukio e Tanasa, soffermandosi a guardare il parco e la nera torre centrale, la cui forma, nel corso dei secoli, aveva guadagnato al maestoso e stupendo edificio il soprannome di “castello del corvo”. Nel vasto parco all’interno delle mura, invece, era lo spettacolo offerto dai ciliegi a farla da padrone. Sebbene non fossero ancora nel pieno della loro fioritura, i fiori di un caratteristico rosa molto intenso offrivano già uno spettacolo meraviglioso a chiunque avesse un po’ tempo e l’animo adatto per ammirarli.
    Le altre auto fecero la loro comparsa dieci minuti dopo. Tanasa, un uomo sui cinquantanni, quasi pelato se non per due ciocche di folti capelli neri simili a corni demoniaci, salutò Rin sorridendo, ed una luce indecifrabile balenò per un attimo nei suo occhi cinici. Il gruppo percorse a piedi i pochi metri che lo separava dall’ingresso principale, ma, mentre transitavano sul breve ponte di accesso, Yukio si avvicinò a Rin e gli disse sottovoce: «Fingi di guardare i pesci e resta in coda alla comitiva. Dovremo occupare il Kuromo. La porta di accesso è dietro, a destra. Apri il fuoco solo se necessario».
    Rin fece come gli era stato detto, e tutto andò bene mentre passavano attraverso la breve galleria in pietra e legno massiccio protetta dalla bassa fortificazione chiamata Kuromo. Non appena giunsero nell’area interna del parco, però, gli uomini di Tanasa si accorsero di quanto stava accadendo alle loro spalle e diedero il via a una furiosa sparatoria. Grazie ai corpi di quattro uomini di guardia usati come scudo, i due fratelli ed il loro seguito riuscirono a mettersi al riparo oltre la porta d’ingresso della roccaforte senza riportare gravi ferite. Ad attenderli all’interno, con le mani in alto durante tutta l’irruzione, trovarono solo un uomo di Watanabe che non sembrava affatto interessato ad ostacolarli. Yukio fece notare a tutti i due corpi senza vita appoggiati in un angolo, si avvicinò all’uomo con le mani ancora levate e gli diede una pacca sulla spalla. «Kinzo, ottimo lavoro», gli disse. «Ora imbraccia un’arma e dacci una mano». Si rivolse poi a tutti i presenti e aggiunse con tono sicuro: «Dobbiamo solo resistere per qualche minuto. Tre persone qui a difendere l’ingresso. Gli altri sopra la galleria. Veloci!»

    «Il piano è già andato fumo!» esclamò Rin mentre sparava attraverso una feritoia a un gruppo di uomini rimasti allo scoperto sotto di lui. «Che diavolo è successo?»
    «Nostro padre lo ha scoperto e probabilmente ci aveva preparato una festa tra i ciliegi.»
    «Come lo sai?»
    «Kinzo mi aveva lasciato un segnale lungo la via.»
    «E dove si trovano adesso Bon e gli altri?»
    «Tranquillo. Avevo previsto questa possibilità. Loro sono sempre stati al sicuro, e tra poco anche Tanasa verrà informato che nessuno dei nostri è mai arrivato.»
    «E come pensi di farci uscire da qui?»
    «Grazie alla pioggia. Chiunque si trovi all’aperto dovrà rifugiarsi in tutta fretta sotto un solido tetto, e noi, in quel momento, potremo uscire e iniziare la nostra caccia al castello.»
    Il cielo, quel giorno, era perfettamente sereno, e Rin avrebbe voluto una spiegazione più chiara dal fratello, ma il Diablo, nascosto dietro un albero davanti a loro, lo impedì ordinando ai suoi uomini di cessare il fuoco ed urlando poi con voce forte e sdegnata: «Figli miei, come avete osato farmi questo? Dovrò punirvi; è inevitabile. Prima o poi dovrete venir fuori. Fatelo subito e mi troverete generoso: Yukio e Rin, voi due non morirete, ma continuerete a servirmi. Per convincervi a non tentare mai più una cosa simile, mi accontenterò di uccidere solo la vostra scorta».
    Mentre ancora parlava, nell’aria si diffuse l’inconfondibile ronzio di elicotteri in avvicinamento, ma nessuno di chi si trovava all’esterno del Kuromo comprese la situazione sino a quando tre Sikorsky H-19, utilizzati principalmente dagli americani nella guerra di Corea ancora in corso, arrivarono proprio sopra il castello ed iniziarono a spazzare il parco con le loro mitragliatrici. In pochi secondi gli spazi attigui all’edificio furono liberati e due terzi degli uomini disposti da Watanabe a difesa della sua proprietà caddero a terra crivellati dai proiettili.
    Yukio e Rin uscirono prontamente dalla loro fortezza seguiti subito dai loro compagni. Quasi nello stesso momento, una dozzina di uomini si calarono dagli elicotteri ed altri giunsero a bordo di due auto che fecero ingresso alle loro spalle. Anche le sirene della polizia, però, iniziarono a farsi sentire nonostante il frastuono delle eliche.
    «Ora è arrivato anche Bon», urlò Yukio all’orecchio del fratello. «Degli sbirri non preoccuparti».
    Ancora una volta, Rin avrebbe preferito conoscere qualche dettaglio in più del piano celato nella mente del fratello, ma fu felice di vedere l’ispettore Ryuji, che aveva ora addosso la sua uniforme da poliziotto, scendere da una delle auto. Da quei due veicoli scesero anche le volpi di Izumo, e lei manifestò più apertamente del suo capo la propria felicità quando l’affiancarono scodinzolando allegramente.
    Shiemi venne condotta in tutta sicurezza verso le auto parcheggiate fuori dall’isolotto da una persona di scorta vestita come un uomo d’affari. Nel frattempo, trenta uomini provvisoriamente sotto gli ordini di Yukio attraversavano correndo, armi in mano, gli ottanta metri sul sentiero che li separavano dalla torre centrale. Arrivarono senza problemi ad uno degli ingressi e, dopo un breve scambio di colpi di pistola e di fucilate, riuscirono a penetrare nell’antico edificio.
    «Ed ora?» chiese Ryuji, che si era ben presto portato in testa al gruppo, accanto a Rin.
    Yukio cambiò i caricatori delle sue due pistole e rispose: «Saliamo nel piano segreto al terzo livello e poi scendiamo nel passaggio costruito da Watanabe. Troveremo lui e Tanasa da qualche parte lungo il percorso. Conosco la strada. Muoviamoci.»
    «Come fai a sapere tutto questo?»
    Yukio sorrise all’ispettore e si sistemò gli occhiali. «Mi piace essere preparato.»

    Liquidando velocemente chiunque trovassero lungo il cammino, percorsero i saloni e i corridoi del castello fino ad una stanza del secondo piano, dove trovarono una scalinata di costruzione ben più recente del resto dell’edificio nascosta dietro una finta parete. Rispetto all’intrattenimento offerto loro da un nutrito gruppo di accoglienza al terzo piano, deciso a sbarrargli la strada ad ogni costo, le sparatorie affrontate fino a quel momento erano state ben poca cosa. Seppur a malincuore, alla fine Ryuji dovette usare una delle granate a basso potenziale che Yukio gli aveva fatto consegnare, e la cui esplosione fu sufficiente a tramortire una decina di uomini saldamente appostati nella sala, ma anche ad annerire e rovinare il pavimento vicino all’ingresso e le pareti adiacenti. Rin con la spada e le volpi di Izumo con zanne ed artigli fecero a pezzi buona parte dei difensori che, ancora intontiti dallo scoppio, cercarono comunque di impugnare le loro pistole per reagire. In quella sala, nella quale probabilmente nessuno aveva mai sentito il rumore di un’arma da fuoco nei quattro secoli precedenti quel giorno sanguinoso, Ryuji sparò diversi colpi di pistola, ma uno lo usò per impedire ad un uomo apparentemente morto di sparare alle spalle di Rin e gli guadagnò uno sguardo riconoscente da parte di Izumo.
    Dietro ad un arazzo trovarono un’altra scalinata. Silenziose come fantasmi, le volpi andarono in avanscoperta, mentre il nutrito gruppo di inseguitori scese i gradini più velocemente che poté. Si ritrovarono su un corridoio con diverse svolte, umido e scarsamente illuminato, che passava sicuramente al di sotto del grande fossato allagato. Un vociare animato fece loro capire di esser ormai vicini a Tanasa, e una serie di spari li avvisarono che le volpi si stavano dando da fare. Yukio, Rin, Ryuji, Izumo e Nemu, diversi passi più avanti di tutti gli altri, scavalcarono tre uomini con la gola squarciata e quindici metri dopo si dovettero fermare in tutta fretta in una provvidenziale curva della galleria. Scorsero poco più avanti le volpi, che erano state ferite e sembravano respirare a fatica; poi Ryuji lanciò un’altra delle sue granate. Le pareti rimbombarono il suono assordante dell’esplosione, ma, a parte un po’ di polvere caduta dal soffitto e a un sensibile spostamento d’aria, non accadde nient’altro. Mentre Izumo si prendeva cura dei suoi animali, gli altri continuarono ad avanzare, raggiungendo ben presto una ripida scalinata verso la superficie, sulla quale Tanasa e Watanabe, storditi ed ormai senza scorta, stavano faticosamente arrancando.
    Con un paio di colpi, Yukio li fece fermare. Poi disse con tono glaciale: «Padre, questo è il capolinea. Ed anche tu, Watanabe, non uscirai vivo da qui. Potrei perdonarti per aver cercato di ucciderci, ma la tua droga è peggio di qualunque veleno e chiunque abbia pensato di produrre una merda simile non merita nient’altro che di sparire».
    «Figli ingrati!» esclamò Tanasa al colmo della sua collera. «Vi ho donato potere e denaro e voi vorreste farmi questo?»
    Rin ricambiò lo sguardo irato del padre e rispose puntandogli la spada: «Abbiamo cercato più di una volta di farti capire che non potevamo accettare i tuoi sistemi. Ti abbiamo anche dimostrato che tutta la violenza a te cara non è necessaria per far crescere gli affari. Tu, però, non hai mai voluto considerare le nostre proposte, anzi, in tutti questi anni non hai mai smesso di criticarle».
    «Padre,» aggiunse Yukio, tenendolo sotto tiro con entrambe le pistole, «sappi che presto quella folle che ti ha seguito per tanti anni e che ci ha partoriti verrà a farti compagnia. Hai un’ultima preghiera da recitare prima di andare all’altro mondo?»
    «Bastardi… non può finire così! Vorrà dire che mi seguirete all’inferno!»
    Tanasa tentò di estrarre la sua arma, ma Yukio fu più veloce e gli piantò tre proiettili nel petto prima che la potesse alzare. Mentre il suo corpo scivolava esanime sui gradini, Ryuji afferrò sia Rin che Yukio per un braccio e disse loro: «L’ultimo pezzo di merda lasciatelo in vita. Lui non è abbastanza potente da sfuggire ai tribunali».
    Mentre i due fratelli annuivano, i loro compagni li raggiunsero, e dalla scalinata si udirono i passi sempre più vicini di una persona. Dopo alcuni secondi, apparve una donna affascinante vestita in pantaloncini e reggiseno, con un giubetto della polizia appoggiato sulle spalle. Si fermò alle spalle di Watanabe, lo tramortì con un pugno e, mentre lo ammanettava, gridò euforica: «Rin! Quanto tempo è passato! Tu e tuo fratello avete fatto un bel casino, lo sapete?»
    «Shura?» esclamò Rin incredulo, mentre la fissava sbalordito.
    «Già, la tua insegnante è qui.» Si scostò dal viso una ciocca dei suoi lunghi capelli rossi e scese velocemente i gradini, saltando gli ultimi tre ed atterrando proprio davanti a lui. Poi lo abbracciò con forza, facendogli sprofondare il viso tra i suo seni sodi e generosi. «Allora? Ti sono mancata? Su, ammettilo!»
    «Mi soffochi…» protestò Rin. «E cosa ci fai tu qui? Non dovresti essere di servizio a Tokyo?»
    «Come, Yukio non ti ha avvertito? Sono qui per scortarvi fuori. Non c’è fretta, perché nel castello la situazione è sotto controllo.»

    Mentre Rin e la sua comitiva sbucavano da un magazzino a quattrocento metri di distanza dal parco dove la battaglia aveva avuto inizio, un uomo vestito di bianco, con in testa un cappello a cilindro dello stesso colore e con uno strano criceto dal pelo verde su una spalla, dialogava bonariamente nei pressi della torre principale con un poliziotto dai lunghi capelli biondi, e in preda ad un’ira violenta.
    «Cosa significa che dobbiamo fermarci qui?» chiese quest’ultimo con una espressione omicida stampata sul volto contratto dalla rabbia.
    «Quello che ho detto», rispose l’altro, mantenendo una calma perfetta e sorridendo divertito e sarcastico. «Il castello è già stato messo in sicurezza dal commissario Shura. Arthur, il tuo aiuto qui non è richiesto, perciò torna all’ingresso e coordina il passaggio delle ambulanze. Grazie.»
    «Maledetto Mephisto…» sibilò l’agente prima di andarsene, «so che stai nascondendo qualcosa, ma io troverò il modo di portare alla luce le tue losche macchinazioni. Ricordatelo!»
    «Fa con comodo», disse il capitano della polizia di Tokyo quando Arthur era già abbastanza lontano da non poterlo sentire. Mostrò un largo sorriso malizioso al suo animaletto e gli sussurrò: «A quest’ora Tanasa deve essere morto. Che magnifica giornata!»



    Edit: Ottenuto il secondo posto!

    Edited by thangbrand - 12/10/2020, 10:31
     
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